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Pensioni: Cupla, a rischio potere d’acquisto dopo sentenza Corte costituzionale

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La decisione legittima il taglio della rivalutazione degli assegni oltre i 2mila euro per il 2023-2024.

A rischio il potere d’acquisto dei pensionati italiani dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha legittimato la decisione del Governo sul “raffreddamento” della rivalutazione delle pensioni oltre i 2mila euro per il 2023-2024. Secondo i giudici costituzionali, infatti non sussiste l’obbligo di adeguare gli assegni pensionistici ogni anno all’inflazione, allo stesso modo. Il legislatore può, dunque, mantenere una discrezionalità nello stabilire un taglio della rivalutazione, almeno per i pensionati che abbiano degli assegni più alti.

Secondo il Cupla, non si tratta, in questo caso, di pensioni d’oro ma di assegni di poco superiori ai 2.100 euro lordi mensili -ovvero 4 volte oltre la pensione minima- maturati dopo una vita di contributi pagati. Una delle conseguenze della sentenza sarà il progressivo indebolimento del potere d’acquisto delle pensioni, che non saranno più tutelate dal peso dell’inflazione sui beni e servizi di prima necessità per gli anziani: alimentari e spese sanitarie.

Questo meccanismo di décalage o raffreddamento, non viene usato per la prima volta da un Governo e la Corte costituzionale si è richiamata a sentenze precedenti che andavano nella medesima direzione. Cupla ricorda, infatti, che le maggioranze di qualsiasi colore nel passato hanno sempre fatto cassa in questo modo per ridurre la spesa pubblica.

A giustificare la riduzione, viene detto che i risparmi conseguenti al taglio delle rivalutazioni sono stati destinati a misure di flessibilità per i pensionati come Quota 103, Ape sociale e Opzione Donna. Non arriverà, dunque, nessun rimborso, né aumenti con gli arretrati. Ancora una volta, i pensionati vengono, quindi, penalizzati e usati come bancomat dai Governi, che continuano a fare cassa sulle nostre pensioni.